Me le ricordo ancora le settimane sotto Covid, in zona rossa, quando — presi dallo sconforto — desideravamo sconfinatamente tornare a fare un giro in MTB, rimpiangendo tutto ciò che una volta davamo per scontato.
Sembrava che, quando si tornò a poco a poco alla normalità, la voglia di stare assieme fosse così tanta, sconfinata, da sembrare qualcosa di mai provato prima.

Poi però, dopo l’enfasi iniziale, abbiamo capito tutti che questo avvenimento storico ci ha segnati nel profondo, scavando dentro di noi un solco di solitudine difficile da colmare.
Abbiamo iniziato a uscire da soli in bicicletta, ad attrezzarci con dispositivi GPS, dimenticando quanto l’aggregazione e lo stare insieme fossero cose importanti.

Il mercato, sulla scia degli incentivi statali, si è fiondato sull’elettrico, dimenticando che in bici non servono batterie, bensì buone gambe e una mente determinata.
E invece, seguendo le mode del momento, in pochi anni abbiamo azzerato uno sport che era sinonimo di fatica e di sacrificio.
Chi vent’anni fa ci guardava con invidia dal bar del paese, mentre noi passavamo in bici inseguendo i nostri sogni, ce lo siamo ritrovato davanti con quello stesso mezzo che una volta non capiva — ma dotato di batterie collegate al movimento centrale.

Tolte le gambe, tolta la mente determinata, abbiamo svenduto un settore endurance al motto del “tutti possono farlo”, riempiendo i sentieri e, piano piano, svuotando negozi e manifestazioni che vivevano di quella fatica e di quella determinazione nel conquistarsi qualcosa da soli.
Il mercato arranca in una fossa creata da se stesso, lanciando imminenti ruote da 32 pollici per cercare di vendere ormai l’invendibile.

Le manifestazioni combattono in un mondo che non gli appartiene più, dove i pochi rimasti sono ormai delle specie in via d’estinzione: le categorie over sono sature e quelle under sono vuote.
Nella peggiore trama di questa tela, infine, è arrivata anche la guerra dei tesserini — combattuta da persone completamente dissociate dal mondo amatoriale, che a malapena sanno cosa significhi e di cui quasi sicuramente non hanno mai fatto parte.

Poveri atleti e organizzatori, che vogliono solo praticare la loro passione in libertà e invece, ad ogni gara, si trovano stretti nella morsa di una burocrazia infinita, capace di far perdere le staffe anche a chi lo fa per mestiere.

Ma la ruota girerà, ne siamo certi.
Come in tutti i settori, alla fine anche il ciclismo — quello vero, quello sano — tornerà a essere di moda.
D’altronde, se ce l’hanno fatta i dischi in vinile a resistere a tutta la tecnologia che ha attraversato la musica nel tempo, lo stesso possono fare quelle menti determinate e quelle gambe dei nuovi giovani, che alla comodità preferiranno un briciolo di fatica per conquistarsi, con il sacrificio, i propri sogni.

Davide Salvatori