Ciao Mo’, esco in bici. Dove vai? In Puglia. Torni per pranzo? Ehm, no…..
Molte persone mi hanno chiesto, nelle ultime settimane, “perché vuoi andare proprio in Puglia?” “Perché no?” la risposta più ovvia, “L’importanza di un viaggio non è la meta, ma il viaggio stesso” quella più poetica.
A dirla tutta, la scelta della Puglia quale destinazione del mio primo viaggio in bici in solitaria nasce da una serie di considerazioni. Prima di tutto volevo partire da casa in sella: uscire, salutare i miei sulla porta e iniziare subito a pedalare; poi volevo fare un viaggio lungo, pur avendo deciso di rimanere fuori non più di tre giorni, e arrivare il più lontano possibile. Da questo la scelta ricadeva inevitabilmente su un viaggio sulla costa adriatica, per minimizzare il dislivello. Ultima scelta: nord o sud? Direzione sud, per avere il percorso più lineare possibile; verso nord oltrepassare il delta del Po e poi la laguna di Venezia avrebbe creato alcune difficoltà organizzative ed un percorso meno lineare con inevitabile perdita di tempo.
La preparazione (anche con pochi chilometri nelle gambe)
La Puglia costituiva una meta abbastanza lontana da poterla considerare una conquista da raggiungere in sella e così ho iniziato a pianificare il mio viaggio. Tante le perplessità iniziali: riuscirò a reggere tanti chilometri e tante ore in sella? Dove dormire? Come attrezzare la bicicletta? Bici da strada o MTB?
Io prediligo la MTB e questi chilometraggi, queste distanze per me non sono abituali: dovevo quindi cominciare a prepararmi per tempo: oltre alle mie solite uscite in MTB ho aggiunto, nei mesi precedenti la partenza, un ‘lungo’ con cadenza settimanale, percorrendo le ciclabili della Valconca e Valmarecchia e il lungomare Riminese. Ho iniziato con un’uscita di 130 chilometri, per poi allungarla di settimana in settimana, fino a portarla a 180. Poco dislivello, come mi sarei poi trovato ad affrontare nel viaggio, tante ore in sella. Ultimo test, una settimana prima della partenza: una giornata intera in bici con partenza la mattina all’alba per un’uscita da 120 chilometri, rientro per pranzo completo e seconda uscita il pomeriggio, per simulare in pieno la giornata tipo di un viaggio in bicicletta.
Chilometri, alimentazione e attrezzatura
Ho dovuto abituarmi ad alimentarmi a intervalli regolari, a bere a sufficienza, a fare le giuste soste, a sopportare il caldo e il vento contrario.
Contemporaneamente, riflettevo sull’attrezzatura: la scelta migliore poteva sembrare la gravel, ma io non ne ho una, ho scartato la bici da strada: poco maneggevole e con la posizione in sella non abituale per me. Allora ho deciso di utilizzare una vecchia MTB in alluminio usata qualche anno fa da mio figlio Nicolò per le gare. Ho acquistato un robusto portapacchi da applicare sulla ruota posteriore, corredato da un set di tre borse.
Ho sostituito la forcella ammortizzata da 100 mm. con una rigida, ho montato gomme da ciclocross da 35 millimetri, infine portacellulare, contachilometri tradizionale, luci per ogni evenienza ed una piccola borsa da telaio per barrette da avere sempre a portata di mano; obiettivo: avere le tasche della divisa sempre vuote. Visto le tante ciclabili, spesso frequentate da pedoni, che avrei dovuto affrontare, ho montato un antiestetico ma utilissimo campanello, che oltretutto è pure obbligatorio, come da prescrizione del codice della strada.
Poi la scelta di dove dormire: in un primo tempo avevo pensato a B&B, sicuramente comodi e confortevoli, ma che mi vincolavano a impostare tappe dal chilometraggio predefinito in modo da prenotare le strutture per tempo; ho invece ripiegato per il pernottamento in tenda, in campeggi trovati lungo il percorso, da scegliere nel momento in cui avrei capito che era il caso di interrompere la tappa. Questa decisione mi ha obbligato a dotarmi di una tenda, un sacco a pelo, un materassino gonfiabile ed accappatoio per la doccia, tutto materiale di cui non avrei avuto bisogno se avessi dormito in B&B. Il peso del mio bagaglio sarebbe sicuramente aumentato, ma visto il poco dislivello da affrontare ho deciso di potermelo permettere.
Si avvicinava il periodo delle ferie ed insieme agli allenamenti andavo definendo il percorso: avrei seguito, per la sua parte centrale, la Ciclovia Adriatica, un progetto che coinvolge la costa adriatica da Trieste a Santa Maria di Leuca e che si compone di tante piste ciclabili lungo le coste e attraverso le città marittime. Di anno in anno questo progetto vanta sempre più chilometri di strade riservate alle biciclette ma rimangono ancora diversi tratti su strade aperte al traffico, spesso sulla SS16 Adriatica.
Il mio obiettivo non era comunque arrivare alla fine della Ciclovia, posta, come detto, a Santa Maria di Leuca, ma solamente di raggiungere la Puglia, nella parte più settentrionale. Da qui mi sarei diretto verso la stazione ferroviaria più vicina dove poter salire su un treno per il ritorno.
E così mi avvicino al giorno di partenza: fissato per il lunedì della mia prima settimana di ferie. È praticamente tutto pronto: viveri, attrezzi, bagagli. La domenica controllo le previsioni meteo e purtroppo è previsto vento forte da SUD; farmi oltre 150 chilometri controvento, da solo, non è proprio il caso e inevitabilmente decido di posticipare la partenza di 24 ore. Non ci sono problemi: un giorno di ritardo non cambia nulla. Ma poi il giorno seguente, di nuovo previsioni avverse: temporali a tarda serata previsti per il martedì, proprio nella zona dove dovrei campeggiare per la prima notte; montare la tenda sotto la pioggia e poi infilarsi a dormire con temporale battente potrebbe presentare dei problemi: decido di nuovo di rinviare. E finalmente, per il mercoledì e per i giorni seguenti è previsto bel tempo, decisione definitiva, si parte mercoledì all’alba.
Ultimo, prima di partire, peso la bicicletta: 26 kg. a pieno carico, di cui quasi 15 di bagagli.
Prima tappa: casa – Pedaso 188 km.
Le previsioni ieri erano buone, infatti, aperto il portone di casa, piove! Ora il programma non si cambia più e dopo un’abbondante colazione indosso il k-way, saluto tutti e parto: l’avventura è cominciata.

Sono passate da poco le sei del mattino e il termometro segna undici gradi, pioviggina, comincio a rimpiangere di non avere preso i guanti. Devo arrivare a Pesaro, prima di imboccare le ciclabili che compongono, in questo tratto, la ciclovia: evito il parco del San Bartolo, che aumenterebbe il dislivello e il tempo di percorrenza, salgo per la Siligata, primo strappo di giornata e di tutto il viaggio, passando per la vecchia strada che costeggia la Statale, svalico e giù in discesa verso Pesaro. Qui imbocco la ciclabile. Da un po’ non piove più, mi tolgo finalmente il k-way e mi dirigo decisamente verso SUD.
Rotolando verso sud…

Oltrepasso Fano, poi Marotta e Senigallia, in gran parte su ciclabile e sul lungomare, solo per alcuni tratti lungo la statale 16. La traccia per un po’ mi manda verso l’entroterra, su strade secondarie, ma poi ritorno verso il mare. A Falconara entro in città ed il traffico si intensifica, intanto il contachilometri supera i primi cento. Oltrepasso la cittadina e qui mi allontano dal mare, in decisa salita sulle colline a nord di Ancona: ora il peso del bagaglio si fa sentire: un lungo rettilineo in salita sembra non voler terminare mai, gli undici gradi della mattina sono un ricordo ormai lontano: ora segna 39°.
Si avvicina l’ora di pranzo e avevo previsto di fermarmi a Sirolo, in un ristorantino consigliato da un amico; mancano ancora un po’ di chilometri e non posso fare la sosta lunga adesso: voglio pranzare dopo avere terminato tutta la salita prevista per oggi. Prendo un gel, bevo un altro sorso d’acqua e proseguo. Il panorama, ora che sto risalendo le pendici del Monte Conero, ripaga di tutta la fatica. Mi raggiunge un ciclista in BDC, ha sicuramente visto le borse attaccate alla mia bici e non ci sta a rimanermi dietro; mi sorpassa baldanzoso e mi sopravanza di qualche decina di metri ma non mi stacca, io mantengo la mia andatura che non è poi così elevata ma lui rimane lì, cinquanta metri avanti; avrà una bici che pesa un terzo della mia ma non riesce a staccarmi, non mi vedo in faccia ma di sicuro sto sghignazzando senza rendermene conto. Gli rendo la vita facile: svolto a sinistra per una via decisamente più ripida, che mi conduce ad un punto panoramico e lo lascio alla sua ‘performance’.

Proseguo lungo la strada del Monte Conero e poco dopo inizia la discesa che mi porterà senza ulteriori sforzi a Sirolo. Entro nel centro storico, cerco il ristorante su Maps, lego la bici ad un palo ed entro. Ordino pesce, una birra, un dessert, poi il caffè. Mi prendo il mio tempo per pranzare, il ristorante si affaccia sul mare, la vista è meravigliosa, dalla parte opposta la piazza centrale dello splendido borgo di Sirolo che non avevo mai visitato. Spedisco un po’ di messaggi, ricarico il telefono. Ho già percorso centoventi chilometri e la pausa è decisamente un toccasana, oltretutto il cibo era squisito, l’ambiente gradevole ed il personale gentilissimo.
La moltitudine di campeggi: imbarazzo della scelta
Riparto dopo un’ora e mezza, scendo verso Numana e ritorno sul Lungomare. Proseguo per tutto il pomeriggio, oltrepassando Marcelli, Porto Recanati, Porto Potenza, Civitanova, faccio un tratto su statale e poi di nuovo verso il mare a Porto Sant’Elpidio. Sono sulla ciclabile, che in questo tratto è molto bella e raggiungo un ragazzo in bici da strada; è in vacanza con la famiglia che è ferma al mare a San Benedetto del Tronto, percorriamo qualche chilometro assieme e poi ci salutiamo. Mi accorgo solo ora che ho superato il punto in cui avevo ipotizzato l’arrivo della prima tappa, a Porto San Giorgio; non ho intenzione di tornare indietro e proseguo finché trovo il primo campeggio, appena dopo Pedaso. Entro e come previsto non ho problemi a trovare una piazzola disponibile: 25,00 euro per la notte, io e la tenda.
Il campeggio è veramente carino, poche piazzole per tende e camper, quasi tutte occupate, tanti bungalow per soggiorni un po’ più comodi, la mia tenda occupa meno di un decimo della piazzola disponibile; dentro ci sto a malapena ma la necessità che fosse più leggera possibile e sufficientemente compatta per il trasporto era la cosa più importante.
Montata la tenda faccio un salto in spiaggia, che dista a piedi meno di cinque minuti. Faccio un veloce bagno e rientro in campeggio per la doccia. Poi lavo la divisa usata oggi, ad una fontanella, perché mi servirà dopodomani e la stendo ad asciugare al filo che sorregge la tenda. Poco dopo vado a cena, nel ristorante interno al camping. Trovo una qualità del cibo inaspettata, per un campeggio, servizio veloce e gentile. Di nuovo pesce, dessert e caffè e, ovviamente, birra per ripristinare la giusta dose di sali minerali.

Rientro in tenda verso le 23:00 ma purtroppo, solo ora, nel silenzio della notte, mi accorgo che il campeggio è tremendamente vicino all’autostrada e con il continuo rumore di auto e camion fatico a prendere sonno.
Seconda tappa: Pedaso – Marina di Montenero 169 km.
Ho dormito poco, ma non rinuncio a partire all’alba. Alle 5:00 suona la sveglia del cellulare, mi alzo, vado in bagno, smonto la tenda e carico tutto sulla bici, faccio tutto nel massimo silenzio perché tutti ancora dormono, nel campeggio. Il tempo è buono, salgo in bici, saluto il guardiano notturno che mi ha già aperto il cancello, attraverso la statale e sono sulla ciclabile ad un metro dalla spiaggia con il sole poco sopra l’orizzonte. È fresco, si pedala benissimo, saluto un uomo che porta a spasso il cane e riparto verso SUD. Non ho ancora fatto colazione ma mi fermerò sul lungomare di uno dei prossimi paesi, appena troverò un bar aperto.
Le ciclabili? Sempre di più
Affronto un tratto di ciclabile appena creata, già cementata ma non ancora asfaltata e senza segnalazioni; durante il viaggio continuo a notare come, di anno in anno, i tratti della Ciclovia aumentino. Sono sicuro che se ci tornerò fra qualche anno, saranno sempre di più. Abbandono il lungomare solo per oltrepassare un fiume, poi ritorno e riprendo su ciclabile.

A Grottammare la ciclabile sul lungomare è veramente bella e poco dopo arrivo a san Benedetto del Tronto, sulla splendida Riviera delle Palme. Trovo finalmente un bar appena aperto dove poter fare colazione: brioche succo di frutta e caffè. Riparto e sono ormai giunto alla fine della regione Marche; ci metto un po’ a trovare la strada giusta per oltrepassare il fiume Tronto ed arrivando a Martinsicuro entro in Abruzzo. Questa regione è forse quella con maggior chilometri di piste ciclabili già percorribili sulla costa. Arrivo a Pescara in tarda mattinata; la città è perfettamente servita da ciclabili e mi dirigo verso lo splendido Ponte del Mare, altissimo, che si divide in due distinte carreggiate: una per i pedoni, l’altra per le biciclette.
Continuo lungo la costa e mi avvicino ad Ortona, dove inizierà il tratto di ciclabile più famoso dell’intero viaggio: la Costa dei Trabocchi. I trabocchi sono vecchie palafitte usate per la pesca, ben conservate ed ora utilizzate a scopo turistico: ospitano piccoli, esclusivi ristoranti di pesce. La ciclabile è ottenuta da una vecchia ferrovia a binario unico dismessa e saggiamente ristrutturata ottenendo un percorso pianeggiante, liscio e ben tenuto, che attraversa diverse gallerie, fresche ed illuminate.

Per raggiungere Ortona devo sudare un po’, arrampicandomi su una collina che ospita la città vecchia, poi in veloce discesa fino al porto dove inizia la ciclabile. La seguo per un po’, fino all’ora di pranzo, che mi fermo a consumare in un ristorantino di pesce, in stile street food a San Vito Chietino. Dopo una giusta pausa riprendo sui Trabocchi ed arrivo, con un paio di brevi tratti di agevole sterrato, alla riserva naturale di Punta Aderci, uno dei punti più incontaminati, selvaggi e panoramici di tutto il viaggio.
Mi fermo per alcune foto, zigzagando tra le bici elettriche, mi gusto un po’ la brezza del mare e riparto, ora in discesa verso Vasto. Intervallando tratti in mezzo alla pineta a tratti sulla spiaggia supero qualche centro abitato e arrivo alla fine della mia seconda tappa, appena superato il confine con il Molise.
Altro campeggio, altro montaggio tenda, doccia, un salto in spiaggia distante 30 metri dalla mia tenda e poi la cena, in un’ottima pizzeria appena fuori dal campeggio. A nanna presto, domattina si riparte.

Terza tappa: Marina di Montenero-Foggia 123 + 10 km. Dentro Foggia
Notte trascorsa meglio della precedente: ho dormito come un sasso. Mi sveglio poco prima delle 5:00, piove!
Mi fiondo fuori dalla tenda e raccolgo tutti i panni che avevo steso la sera prima: per fortuna non si sono bagnati, visto che la pioggia è appena cominciata. Vado direttamente in bagno, distante una cinquantina di metri e fortunatamente, quando ho finito di prepararmi, la pioggia è cessata. Smonto la tenda, preparo i bagagli e li carico sulla bici; finisco di prepararmi, indosso casco e scarpe da bici e riparto, dopo avere fatto colazione con le provviste che mi sono portato da casa.
Luci accese, davanti e dietro, mi avvio sulla statale. Sono da poco passate le sei e c’è già gran traffico: auto, camion, autobus, tutti a velocità sostenuta; per fortuna c’è una corsia di emergenza abbastanza ampia da tenermi fuori dalla corsia di marcia. Proseguo per diversi chilometri, vedo il mare alla mia sinistra, distante poche centinaia di metri, ma nessuna ciclabile, strada o sentiero che lo costeggia; sono costretto a rimanere qui.

Finalmente, poco a nord di Termoli, sulla destra inizia un’ampia pista ciclabile, non ultimata e ancora sbarrata: l’asfalto è stato posato ma mancano indicazioni e segnaletica orizzontale, forse anche la verniciatura dell’intero manto. Non esito però a scavalcare il marciapiede e ad infilarmi sulla pista ciclabile; ora sono più tranquillo: separato dal traffico automobilistico ricomincio a godermi la pedalata e mi avvicino tranquillamente alla città.
Alla periferia di Termoli inizia un bel tratto di lungomare, affacciato sulla spiaggia, qui scorre una strada ciclabile e pedonale ampia e comoda, a quest’ora già frequentata da diverse persone a passeggiare a piedi o a correre. Entro in città e sfilo il bel castello, arrivando al porto, lo supero e trovo un’altra pista ciclabile; la città non è grande e la oltrepasso in pochi minuti, ma ancora non ho incontrato un bar aperto per la colazione. Devo arrivare alla zona commerciale/artigianale alla periferia sud per trovare, aiutato da Google, un bar pasticceria aperto, dove fare una colazione completa. L’attesa valeva la pena: il posto è gradevole, allietato dalla giusta cortesia delle cameriere, le paste sono fresche e mi godo la prima pausa di giornata.
Riparto e mi infilo di nuovo sulla statale. Ancora traffico, su un percorso decisamente non adatto ad un viaggio in bici. Allora cerco su Google le indicazioni per Foggia, indicando come mezzo di trasporto la bicicletta. Poco dopo il navigatore mi spedisce a destra, fuori dalla statale, verso un paese che vedo svettare sulla collina; sbuffo un po’ per la salita inaspettata ma proseguo, finalmente senza traffico. E così arrivo a Campomarino, un delizioso borgo con una splendida vista sulle pianure circostanti e sul mare Adriatico, che da sola ripaga tutta la fatica fatta per arrivarci, oltretutto, un ragazzino mi incita, a poche centinaia di metri dallo scollinamento, e si dice sicuro che io possa farcela.
Dopo la foto di rito scendo veloce, di nuovo verso la Statale, ma la percorro solo per un breve tratto e poi di nuovo seguo le indicazioni del mio telefono lungo vie secondarie; arrivo ad un immenso parco fotovoltaico, con pale altissime, tutte in funzione, che si perdono a vista d’occhio ed anche oltre, sulle colline che vedo all’orizzonte, distanti diversi chilometri.

Missione compiuta, ma si prosegue
Ad un crocevia svolto decisamente a sinistra e, poco dopo, quasi all’improvviso, appare il cartello che segnala la fine della provincia di Campobasso e l’inizio di quella di Foggia. Mi emoziono, sono sincero: la meta è raggiunta, l’obiettivo del viaggio conseguito; sono in un posto isolato: non si vede anima viva, né una casa, nessuna auto. Mi fermo, torno indietro, percorro più volte il ponticello che sovrasta il ruscello che divide le due provincie, le due regioni. Appoggio la bici al cartello, scatto delle foto, le condivido subito con le persone più care: missione compiuta.
Sono carico a pallettoni: ora la salita che mi aspetta non mi spaventa affatto: se ho fatto oltre 400 chilometri, se ho pedalato per oltre venti ore in due giorni, toccato cinque regioni e undici province, non saranno di certo due salitelle della Puglia a mettermi paura.
La meraviglia della Puglia in bici
Salgo, scendo, risalgo, da casa hanno letto i miei messaggi e visto le foto del cartello “Foggia” e mi chiedono come va, per rispondere al messaggio perdo un incrocio e inizio a scendere, mi rendo conto dell’errore solo a fondovalle e non ho intenzione di tornare indietro: continuando posso ricongiungermi allungando di pochi chilometri il percorso; ed è così che, non previsto, risalgo lentamente verso il paese di Serracapriola; entro nel centro assieme ad un trattore, a testimonianza della vocazione agricola di questa parte della Puglia. Il paese è tranquillo, strade ampie, il corso principale addirittura a tre carreggiate, con un numero di auto che ne occupa mezza, decido di fermarmi in un bar; mi prendo un gelato, un ghiacciolo, mangio qualcosa di solido e dopo una mezz’ora riparto, salutando gli altri avventori del locale.
Ora, superato il paese, mi aspetta un’altra discesa, ma non posso non fermarmi di nuovo per ammirare l’immenso paesaggio, verso sud, verso il cuore della Puglia. Un susseguirsi di infinite coltivazioni, puntellate di enormi pale eoliche, ad integrare e completare lo scenario: vecchio e nuovo che si mescolano, che danno a questa regione una ricchezza che non mi aspettavo di trovare così evidente.
Riparto ed arrivo ad un crocevia; mi fermo a controllare Maps per non sbagliare di nuovo: qui il percorso si divide in due possibili scelte: una più lineare e più corta, la seconda più lunga e contorta. Controllo l’ora, calcolo i tempi e mi rendo conto che posso tranquillamente allungare ancora un po’ il chilometraggio: scelgo, ora consapevolmente, la via apparentemente meno facile. E ne sono subito dopo ripagato: a sinistra! Ma no! È sterrata! Sembra che cominci una discussione con il mio telefono, lui insiste: sinistra!
E sinistra sia: mi hai convinto. Breccia, terra, sabbiolino, pietre. La strada prosegue tranquillamente e a dire il vero, visto le buche su asfalto che avevo dovuto schivare fino a poco fa, non è poi così male. Però forse è meglio fermarsi a gonfiare la gomma posteriore; con il peso che mi porto appresso e le gomme non perfettamente adatte allo sterrato (35 mm) non vorrei pizzicare. Riparto in un attimo e mi infilo in uno splendido uliveto: le piante si perdono a vista d’occhio, sono potate magistralmente, il terreno sottostante pulito alla perfezione. Finisce l’uliveto ed inizia un vigneto, altrettanto bello, altrettanto ben tenuto. E poi frutteti, campi di cereali già trebbiati, e di nuovo vigneti.
Mi fermo: sono sotto il pilone di una pala eolica, altissimo, le tre lame che compongono l’elica sono lunghissime, si alternano silenziose, roteando veloci. No, non si chiama “elica” ma pala. Quella che ho sempre chiamato “pala eolica” è in realtà un generatore eolico, ad asse orizzontale; e quello che ho chiamato “pilone” è invece la torre. Generatore ad asse orizzontale tripala, composto da torre, navicella, rotore a pale; questa la precisa descrizione fornita da Wikipedia, ma lo scoprirò solo una volta tornato a casa.
Riparto e mi sento completamente assorbito dall’ambiente che mi circonda. Altre coltivazioni, altri frutteti, ulivi, viti e d’un tratto un frutteto completamente carbonizzato, quasi a cercare di rompere l’incanto che riesce a comunicarmi questa splendida terra.
All’orizzonte, le noto solo ora, un paio di colonne di fumo testimoniano altri incendi, non si capisce di quale natura, speriamo sia solo qualche sprovveduto che brucia delle sterpaglie. Riprendo a pedalare ed il paesaggio non cambia, ancora coltivazioni, anche se mi sono ormai definitivamente lasciato alle spalle le colline e fino a Foggia non ne troverò altre.

Arrivo ad una fattoria e la supero, alcune persone parlano tranquillamente nell’aia senza curarsi di me e forse senza nemmeno vedermi. La sterrata termina ad un incrocio con una strada asfaltata, scassatissima, di lì a poco mi supera un’auto: guida una donna con a bordo alcuni ragazzini: mi guardano un po’ stupiti, l’auto si infila in una buca e la marmitta striscia sull’asfalto. Mi aspetto che cada a terra poco più in là ma, anche questa volta, ha retto all’urto, chissà per quanto ancora.
Arrivo ad una brecciata, rettilinea, perfettamente orientata a sud. Mi fermo per una barretta e solo ora mi accorgo del vento che soffia da nord; sorrido, finalmente, una volta tanto, ce l’ho a favore. Riparto e il cellulare squilla per l’arrivo di un SMS: il treno, prenotato per le 15:15 è in ritardo di un’ora, fermo alla stazione di Lecce. Non mi fido a cambiare percorso e ad allungarlo, non si sa mai che il ritardo sia rettificato; fino a domattina non ci saranno altri treni per rientrare. Proseguo lungo la traccia prevista e sento alle mie spalle un camion; mi volto e vedo un autoarticolato che trasporta paglia incedere cercando di scartare le buche sulla strada brecciata; alza un’incredibile scia di polvere e non ho via d’uscita per evitarla, quindi accelero.
Aumento il ritmo fino a toccare, e superare per qualche tratto, i 30 chilometri orari: il camion rimane a centocinquanta metri da me, non riesce ad andare più veloce su questa strada. Cominciamo una gara: dove il fondo è più dissestato aumento la distanza, agile, nonostante il mio carico, nello schivare le buche più grosse; dove il fondo è più uniforme, con anche qualche brevissimo tratto di asfalto, è lui a recuperare. Continuiamo così per alcuni chilometri: riesco a tenere alto il ritmo, nonostante ormai mi avvicino a 500 chilometri percorsi in due giorni e mezzo. Quando, dopo un buon quarto d’ora, arriva un tratto di asfalto sufficientemente lungo per evitare la nube di polvere, rallento un po’, lui mantiene la velocità e piano piano mi supera. Chissà se lo racconterà ai suoi figli, stasera, di questo inusuale incontro?
Ormai ci sono solo campi di cereali e, superando un’altra fattoria, imbocco un sottopasso: sopra di me scorre la statale adriatica; proseguo ancora un po’ e poco dopo arrivo sulla strada principale, svolto a destra ed ecco il grande cartello che sovrasta la strada: Foggia.
Entro in città e mi fermo al rosso di un semaforo; non ho più voglia di seguire il navigatore e cerco i segnali stradali che indicano la stazione, busso al finestrino di un’auto e chiedo conferma al conducente: gentilmente mi indica le due svolte che devo fare, ringrazio, al verde ripartiamo entrambi e poco dopo arrivo in stazione. La piazza antistante è ben tenuta, ampia, nessuno in giro oltre i viaggiatori. Entro nella hall con la bici a spinta e trovo la conferma del ritardo del mio Intercity. Non mi resta che tornare in sella e gustarmi un non previsto ma gradito giro della città, tranquillamente. Trovo un’incredibile a ben tenuta rete di piste ciclabili, tutte splendidamente dipinte di un bell’azzurro intenso.
Mi dirigo verso il centro storico per cercare una gelateria. Mi siedo sotto un ombrellone e chiedo una granita al limone: “sarà pronta fra un quarto d’ora; abbiamo appena spremuto i limoni freschi”, e allora intanto mi mangio un gelato, e poco dopo la gentilissima commessa mi avvisa che la granita è pronta. Squisita, me ne mangerò due. E poi, appena prima di uscire mi fa assaggiare un gusto di gelato di sua invenzione e, al mio giudizio entusiasta, rivendica le sue capacità al collega. Me ne vado quasi a malincuore, se mai tornerò a Foggia passerò sicuramente qui; intanto recensione a cinque stelle garantita.
Ritorno a pedalare per la città, seguendo semplicemente il susseguirsi delle tante piste ciclabili; ad ogni incrocio con le strade carrabili gli automobilisti si fermano per lasciarmi la precedenza, pur non avendone l’obbligo. Lascio le ciclabili solo per entrare per un tratto nel centro storico e anche qui trovo conferma che Foggia è molto bella. Conosciamo questa città per tanti pregiudizi negativi, chissà, forse pure motivati, ma io non ne ho avuto il benché minimo apparente riscontro.
Si rientra… In treno
Riprendo il cellulare solo quando è l’ora giusta per ritornare in stazione e cercare la via più breve. Raggiungo il binario spingendo la bici, facilitato, sulle scale del sottopassaggio, da uno stretto scivolo ai lati degli scalini dove far scorrere più agevolmente le ruote. Il treno arriva, salgo sulla carrozza numero tre, quella attrezzata per il trasporto delle biciclette, appendo la bici alla rastrelliera e mi siedo lì vicino.

Il viaggio è finito, gli occhi mi brillano, sono incredibilmente soddisfatto e appagato. Tutti i miei obiettivi raggiunti, tutto il programma rispettato. Sono estasiato da quanto ho visto. Viaggiare in bici è incredibilmente coinvolgente: non si percorre semplicemente il territorio ma ci si entra dentro, lo si conosce, diventa parte della nostra vita e dei nostri ricordi. Si vedono cose che mai si noterebbero passando in macchina, si vivono i luoghi, oltre che raggiungerli. La ciclovia adriatica è uno splendido progetto, ancora in corso di completamento. Il viaggio in bicicletta è la forma più ecologica di turismo, la più coinvolgente, farlo in solitaria ti permette di dedicarti completamente a quello che ti circonda, per un’esperienza indimenticabile.
Prossima meta? Molise Trail…
In totale 490 chilometri, 24 ore e mezzo pedalate, duemila metri di dislivello, media di poco superiore a venti chilometri orari, temperatura da 11,2 a 39,9 gradi centigradi, ritardo del treno tre ore e trenta. Già penso alla prossima tappa, puntando un po’ più in alto ed in un evento organizzato: il Molise Trail. Ci vediamo la…
