Cosa vuol dire saper far fatica? E’ una domanda banale, almeno a primo impatto. Tuttavia la risposta va ricercata molto più in profondità di come sembra. Provo a spiegarvela dunque con un episodio successo qualche anno fa alla Hero Dolomites.

La mia prima Hero è stata fatta nel 2016. Non ero più nelle condizioni atletiche dei miei 20 anni, ma ancora me la cavavo. Andai su con MTB Magazine per lavoro, non l’avevo nè preparata, nè tantomeno sapevo cosa mi aspettasse. Fui chiamato, andai e la feci, con una reflex da qualche chilo nello zaino. Fu una fatica tremenda ma riuscì a terminarla in condizioni decenti (raccontai quell’esperienza nella rivista di allora).

Promisi di tornare con più preparazione qualche anno dopo e l’occasione si presentò nel 2019 con mio padre. Avrei dovuto tornarci con più preparazione ed invece ero diventato babbo da poco e per la prima volta dopo oltre 20 anni, la bici era diventata da qualche tempo solo un Hobby. Decisi di andare comunque perchè dentro di me ero “a secco” da troppo tempo di un’avventura tosta. Quell’anno mi ricordo sono arrivato al terzo sabato di giugno con soli 800 km di allenamento da inizio anno.

Chi di voi conosce la Hero Dolomites sa che è una Marathon di 90 km circa con 4.700 metri di dislivello. Un rapporto di dislivello per chilometraggio oltre la media di tutti gli eventi. Un evento che se non è preparato a dovere non lo finisci (e questa è una certezza). Partì anche io con quella consapevolezza che la mia gara fosse durata solo una buona metà, anche se una parte di me sperava di arrivare in fondo. In realtà la prima parte andò molto bene. Gli anni di esperienza, i migliaia di chilometri accumulati e le innumerevoli sconfitte alternate a qualche vittoria, avevano creato una solida base di sicurezza. Quindi le prime ore di gara furono pedalate mangiando e bevendo regolarmente, aspettando che prima o poi arrivasse il conto da pagare.

Il conto appunto, arrivò verso metà gara, lungo la terza salita del Sourasass, o meglio conosciuta come Arnella di Arabba. A dire il vero una salita che di Mtb ha molto poco, ma crea uno stato d’animo di eroico con le sue pendenze proibitive spesso oltre il 30 %. Riuscì a pedalarne una buona parte ma poi, niente da fare. Piede a terra e “portage”. I muscoli delle gambe con il passare dei minuti diventarono duri come le pietre delle Dolomiti che ci circondavano, e bastò rimontare in sella per capire che gli ultimi 40 chilometri sarebbero stati un vero inferno. Scollinata a fatica Porta Vescovo, cercai di recuperare per quanto possibile la muscolatura ormai compromessa. Arrivato al Passo del Pordoi le gambe ormai erano vuote. Del resto non potevo pretendere di più con quel allenamento che avevo. Era passata più di metà gara e potevo ritenermi soddisfatto, ma invece di direzionarmi per l’asfalto verso il Passo Sella, scesi per Canazei e proseguì. Sapevo che sarei andato incontro ai miei demoni più duri verso il passo del Duron, con le gambe vuote e senza più un briciolo di energia. Tuttavia era proprio quello che cercavo da quella gara.

Arrivato a Canazei ripresi a salire, dapprima su una forestale al 10-15% e poi via via fino al 20-25%. Mi ricordo ancora che stavamo risalendo un torrente su ghiaia con una staccionata in legno sulla sinistra quando ad un certo punto le mie gambe hanno smesso di girare, senza un preavviso, senza nulla. Mi appoggiai alla staccionata per non cadere e rimasi fermo li in salita senza nemmeno più le forze per ripartire. Ero arrivato nel momento che aspettavo da tempo, l’appuntamento con la fatica estrema dove ora dipendeva tutto da me. Facendo 150 metri pedalati e una pausa di un minuto riuscì ad arrivare nella Valle del Duron. Ma la salita non solo non era finita ma doveva ancora iniziare nella parte più dura. Sfruttai quei 2-3 km di falsopiano per pedalare agile e reintegrarmi, ma quando la strada tornò a salire le gambe mollarono di nuovo e subito, ma questa volta molto più violentemente, tanto da costringermi a sedermi per terra. Tra mucche al pascolo disinteressate alle stronzate degli esseri umani capì che quella salita probabilmente non l’avrei mai superata. Lo capì nell’esatto momento in cui lo sconforto prese il sopravvento della mia mente, di quanto la convinzione di non farcela, stava per rendere il tutto impossibile. Proprio allora mi ricordai che saper far fatica è un’arte.

Tutti facciamo fatica. Al lavoro, in casa, in famiglia, nello sport. Nessuno è esente dal far fatica. Ma la fatica o la domini o ti domina. Non ci sono o non esistono compromessi con la fatica. C’è chi non l’accetta, chi pensa che ogni cosa che richieda fatica sia ingiusta o troppo pesante, e chi invece a volte l’aspetta o addirittura la cerca come ho fatto io, nel 2019 dove ho sentito l’esigenza di andare a ricercare la fatica estrema per ricordare a me stesso che la vita è una strada in salita dove si arriva solo con la fatica.

Sì, alla fine quella gara l’ho finita e ancora oggi sento dentro di me la fatica di quel giorno tanto da riuscire ancora a raccontarla (di nuovo). E ci tornerò! Certo o li o da un’altra parte non importa, perchè anche la fatica così come l’arte, va allenata…